Il cotone. Parte I — Dalla fibra alla rivoluzione
Le origini di una fibra universale
Tra tutte le fibre che l’uomo ha imparato a filare, il cotone è quella che più ha intrecciato la sua storia con quella della civiltà.
Le prime testimonianze risalgono a oltre settemila anni fa: resti di tessuti di cotone sono stati rinvenuti in Perù, tra le culture di Huaca Prieta e Paracas, mentre in India il suo uso è attestato nei reperti della valle dell’Indo, a Mohenjo-Daro. Dall’Asia Minore all’Egitto, la fibra di Gossypium herbaceum fu presto apprezzata per la sua finezza e la capacità di assorbire e rilasciare l’umidità, qualità che la resero unica in climi caldi e variabili.
Attraverso le rotte arabe, il cotone raggiunse il Mediterraneo: in Sicilia e in Andalusia se ne coltivavano già nel X secolo alcune varietà, e i mercanti veneziani ne diffusero il commercio verso le città dell’Italia settentrionale. Le stoffe provenienti dall’India — i celebri calicò e le indiane, stampate con motivi floreali — conquistarono le corti europee tra Cinque e Seicento, generando una vera rivoluzione del gusto.
Foto di Karl Wiggers su Unsplash
L’età preindustriale: il fustagno e la manifattura rurale
In Italia, il cotone si inserì presto nei circuiti produttivi locali. A Chieri, Milano e Cremona nacquero manifatture specializzate nei fustagni e nelle bombasine, tessuti misti di lino e cotone che univano resistenza e comfort.
Il cotone era filato a mano, spesso con ruote azionate a pedale, e impiegato come trama, mentre l’ordito restava di lino: un equilibrio tecnico che consentiva robustezza e versatilità.
Tra XIV e XV secolo, Busto Arsizio, Gallarate e Legnano divennero centri noti per la produzione di mercerie di cotone, preludio a un tessuto economico che si sarebbe poi legato al vestiario popolare.
Nel resto d’Europa, l’Inghilterra cominciava a sperimentare su larga scala la filatura domestica, favorita dall’afflusso di cotone grezzo proveniente dal Levante e, in seguito, dalle colonie americane.
La domanda crescente di mussole, nanchini e tessuti leggeri d’ispirazione orientale trasformò progressivamente la produzione: da lavoro rurale stagionale a proto-industria organizzata.

Nelle foto una tunica datata tra il 2435 e il 2118 a.C, proveniente dagli scavi intrapresi ad Asyut da Schiaparelli nel 1906. Autore: Grazia Musso – L’Egypte Eternelle 21 giu 2024
Il Settecento e la rivoluzione industriale
La vera svolta avvenne nel XVIII secolo, quando una serie di innovazioni tecniche — dalla spinning jenny di Hargreaves al telaio meccanico di Cartwright — permise alla produzione di cotone di superare definitivamente i limiti dell’artigianato.
Manchester, divenuta simbolo della modernità, si guadagnò il titolo di Cottonopolis.
In Italia, pur in ritardo rispetto all’Inghilterra, si assistette a un lento ma deciso rinnovamento. Le prime filature idrauliche sorsero in Piemonte e Lombardia, e la domanda interna si estese anche alle classi popolari.
Il cotone, grazie al suo costo contenuto, sostituì progressivamente la canapa e il lino nella biancheria e nei capi da lavoro. La sua leggerezza, la facilità di tintura e la morbidezza al tatto lo resero il tessuto della quotidianità.

Veduta delle fabbriche di Manchester. Data: circa 1870 Fonte: illustrazione non attribuita.
Dalle manifatture ai cotonifici
Nel corso dell’Ottocento, il processo d’industrializzazione coinvolse anche la penisola.
Dopo l’introduzione dei primi telai Jacquard e la progressiva riduzione dei dazi sull’importazione dei filati, la filatura italiana trovò nuovo impulso.
Il cotone greggio, proveniente in gran parte dall’India e dagli Stati Uniti, fu trasformato nei cotonifici di Lombardia e Piemonte: piccole realtà che presto si evolsero in complessi industriali moderni.
La “manifattura rurale”, in cui le donne filavano a domicilio e i tessuti erano commissionati da commercianti intermedi, lasciò il posto alle fabbriche a ciclo continuo. Qui si svilupparono competenze nuove: tintori, filatori, disegnatori, tecnici di macchina.
Il cotone diventò così non solo materia prima ma infrastruttura sociale: nelle vallate e nei distretti del Nord, attorno ai cotonifici, sorsero scuole, case operaie, piccole comunità che vivevano al ritmo della filatura.

Il telaio di Jacquard a schede perforate
Un filo che prepara la modernità
Alla metà dell’Ottocento, la produzione europea di cotone aveva superato ogni altra fibra naturale. In Italia, la svolta arrivò con l’espansione del Cotonificio Cantoni e con la nascita delle prime stamperie meccaniche, capaci di produrre indiane e calicò locali.
L’industrializzazione del cotone non fu soltanto un fenomeno economico: rappresentò un cambio di paradigma nel rapporto tra uomo, materia e tecnologia.
Dal ritmo manuale al suono meccanico, dal telaio di legno alla macchina a vapore, il cotone divenne il simbolo di un mondo che scopriva la produzione seriale e la standardizzazione.
Ma dentro quella trasformazione restava immutato un gesto: la trama che incontra l’ordito, l’equilibrio tra forza e delicatezza. È forse in quel gesto antico che sopravvive la poesia del tessere.

Fonte: Gabriella Ferrarini, Marco Stadiotti, Legnano. Una città, la sua storia, la sua anima, Telesio editore, 2001, p. 54. Cotonificio Cantoni di Legnano nel 1930.
Bibliografia essenziale – Parte I
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G. Treccani (a cura di), Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, voce Cotone, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1933.
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G. Bigatti, Storia dell’industria cotoniera in Italia, Il Mulino, Bologna, 1983.
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P. L. Porta, L’industria tessile lombarda tra Ottocento e Novecento, FrancoAngeli, Milano, 1992.
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A.-M. Dubler, Lavoratori e imprenditori. Il settore tessile in Svizzera dal XV al XIX secolo, in Dizionario storico della Svizzera, 2012.
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M. Mazza, Storie di filati e di fabbriche: il cotonificio Cantoni e la nascita del moderno tessile italiano, Electa, Milano, 2001.